La sindrome metabolica, spiega prof. Paolo Magni, del Dipartimento Scienze Farmacologiche e Biomolecolari “Rodolfo Paoletti”, Università degli Studi di Milano, viene definita come l’aggregazione di una serie di condizioni associate ad un aumentato rischio di sviluppare malattie cardiovascolari.
In particolare, le 5 condizioni sono:
- obesità addominale-viscerale (circonferenza vita > 94 o 102 cm nell’uomo; > 80 o 88 cm nella donna, a seconda della specifica classificazione)
- ipertensione arteriosa in corso (> 135/85 mmHg) o terapia anti-ipertensiva in atto
- iperglicemia (glicemia > 100 mg/dL) o diagnosi di diabete mellito tipo 2
- ridotti livelli circolanti di colesterolo HDL (< 40 mg/dL nell’uomo; < 50 mg/dL nella donna)
- ipertrigliceridemia (> 150 mg/dL)
Si ha sindrome metabolica quando sono presenti almeno 3 fra questi criteri e la severità del rischio aumenta ovviamente quanti più criteri sono presenti. È importante anche aggiungere due elementi a questo quadro: la steatosi epatica di origine metabolica (MASLD, metabolic-associated steatotic liver disease) e la insufficienza renale cronica. Il trattamento della sindrome metabolica si basa su un approccio multifattoriale che comprende:
- Modifiche dello stile di vita: adozione di una dieta equilibrata, aumento dell’attività fisica e conseguente riduzione del peso corporeo.
- Terapia farmacologica, nei casi in cui la modifica dello stile di vita non sia sufficiente. Questa può includere farmaci per il controllo della glicemia, della pressione arteriosa e della dislipidemia.
- Monitoraggio medico regolare per prevenire complicanze a lungo termine.
L’obesità, specialmente quella viscerale, è un fattore determinante nello sviluppo della sindrome metabolica e delle sue complicanze. Un intervento precoce attraverso la modifica dello stile di vita e, se necessario, l’uso di terapie farmacologiche, è fondamentale per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari e metaboliche associate.
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