Il Fascicolo Sanitario Elettronico rappresenta uno strumento cruciale per l’accessibilità dei servizi sanitari; tuttavia, i dati aggiornati circa completezza e utilizzo dello stesso, presentati dal Presidente di Fondazione GIMBE, Nino Cartabellotta, lo scorso 27 novembre ad Arezzo in occasione del 19° Forum Risk Management, evidenziano una significativa spaccatura del Paese determinata da significative difformità regionali – con il Sud fanalino di coda – con riguardo sia ai servizi offerti che all’utilizzo da parte di cittadini e professionisti sanitari.

La completezza del FSE e la documentazione effettivamente disponibile

A livello documentale, per quanto il decreto del Ministero della Salute del 7 settembre 2023 abbia definito i contenuti del FSE 2.0, non tutte le Regioni rendono disponibile l’intera documentazione. A livello nazionale sono accessibili solo 7 tipologie di documenti: lettere di dimissione ospedaliera, prescrizioni farmaceutiche e specialistiche, referti di laboratorio, di radiologia e specialistica ambulatoriale e verbali di Pronto Soccorso.

Il profilo sanitario sintetico, il documento di erogazione delle prestazioni specialistiche e quello di erogazione dei farmaci e il referto di anatomia patologica sono disponibili in oltre l’80% delle Regioni. In 16 regioni e PA risulta presente il certificato vaccinale, ma le schede relative alle singole vaccinazioni sono presenti nel FSE di 12 regioni. In appena 5, inoltre, è presente la lettera di invito a screening e altre iniziative legate alla prevenzione.

La cartella clinica è infine disponibile in sole 3 regioni: Sardegna, Veneto e Lazio, con quest’ultimo che risulta l’unica regione ad includere nel FSE tutta la documentazione prevista dal decreto.

Gli ancora esigui servizi disponibili

Per quanto concerne i servizi, nei FSE è prevista la disponibilità di 37 servizi, che vanno dal pagamento del ticket alla prenotazione di visite ed esami fino alla scelta del medico… Di questi però, non tutti sono effettivamente a disposizione del cittadino. Solo Lazio e Toscana superano la soglia del 60% mentre in Calabria e Abruzzo i servizi disponibili si attestano ad appena l’8% del totale.

«L’assenza di un’integrazione completa dei servizi, soprattutto nelle Regioni del Sud – ha sottolineato Cartabellotta – riduce il potenziale del FSE come strumento di innovazione e accessibilità ai servizi sanitari, limitando le opportunità per i cittadini di beneficiare di una sanità realmente digitale».

L’utilizzo del Fascicolo Sanitario Elettronico

Per quanto riguarda l’utilizzo del FSE, GIMBE propone un’analisi dettagliata con riguardo al consenso alla consultazione della documentazione e all’effettivo uso da parte di cittadini, di MMG e PLS e specialisti.

Per quanto attiene al primo punto, al 31 agosto 2024, il 41% dei cittadini aveva espresso il proprio consenso alla consultazione dei propri documenti sanitari da parte di professionisti sanitari. Scorporando il dato nazionale si riscontrano tuttavia forti difformità, con un’oscillazione che va dall’1% di Abruzzo, Campania, Calabria e Molise fino all’89% dell’Emilia Romagna. La quota dei consensi risulta generalmente inferiore al Sud in cui solo la Puglia mostra un incoraggiante 69%.

«È fondamentale rassicurare i cittadini sulla sicurezza dei dati personali e sull’utilità concreta del FSE. Senza un intervento mirato in questa direzione, gli sforzi compiuti dai servizi sanitari regionali rischiano di essere vanificati» ha chiarito il Presidente GIMBE.

Consultazione e uso dell’FSE da parte di cittadini e professionisti sanitari

Rispetto alla consultazione e all’uso del FSE da parte dei cittadini, la media nazionale resta bassa, al 18%. Anche in questo caso, il dato nazionale ricomprende significative difformità: si passa dall’1% di Marche e Sicilia al 50% della PA di Trento. Ancora una volta, i dati più bassi sono quelli fotografati nelle regioni del Meridione – ad eccezione della Campania che si allinea alla media nazionale – sottolineando l’urgenza di investire in programmi di alfabetizzazione digitale.

Per quanto riguarda medici di medicina generale e pediatri di libera scelta, nel periodo giugno-agosto 2024, la quasi totalità dei professionisti (94%) ha effettuato almeno un accesso al FSE.

Al 31 agosto 2024, oltre tre quarti degli specialisti delle Aziende Sanitarie (76%) risultavano abilitati alla consultazione del FSE, ma con marcate differenze: dallo 0% della Liguria al 100% di Lombardia, Molise, PA di Trento e Bolzano, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Valle d’Aosta e Veneto.

Un ulteriore step: la dematerializzazione della ricetta bianca

Con la dematerializzazione della ricetta bianca a partire dal 2025, anche le prescrizioni non a carico del SSN andranno ad arricchire il FSE. «Sebbene rimanga per il paziente la possibilità di ricevere la ricetta via email, WhatsApp o di ritirare il farmaco direttamente in farmacia tramite il proprio codice fiscale, il FSE diventerà il fulcro di una gestione completa, sicura e trasparente delle prescrizioni mediche» ha evidenziato Cartabellotta.

FSE, leva strategica per migliorare l’accessibilità

«Il Fascicolo Sanitario Elettronico – ha enfatizzato il Presidente GIMBE – non è solo uno strumento con cui il cittadino può tracciare e consultare la propria storia sanitaria, condividendola in maniera sicura ed efficiente con gli operatori sanitari, ma rappresenta una leva strategica per migliorare accessibilità, continuità delle cure e integrazione dei servizi sanitari e socio-sanitari. Il PNRR, grazie ad un investimento dedicato, mira ad arricchire e armonizzare i FSE, rendendoli interoperabili e connettendo tra loro le infrastrutture digitali. Tuttavia, ad oggi, persistono significative diseguaglianze regionali che privano molti cittadini delle stesse opportunità di accesso e utilizzo. Inoltre, la mancata armonizzazione del FSE rischia di lasciare i cittadini senza accesso a dati essenziali per la propria salute in caso di spostamento tra Regioni».

Necessario un nuovo patto nazionale per la sanità digitale per ridurre le diseguaglianze

«Per ridurre le diseguaglianze – ha aggiunto Cartabellotta – è indispensabile un nuovo patto nazionale per la sanità digitale, che coinvolga il Governo e le amministrazioni regionali. Senza un piano di integrazione nazionale, rischiamo di generare nuove diseguaglianze in un sistema sanitario che già viaggia a velocità diverse, dove tecnologia e innovazione rimangono accessibili solo a una parte della popolazione. Questo finisce per escludere proprio le persone che più dovrebbero beneficiare della trasformazione digitale: anziani, persone sole, residenti in aree isolate o disagiate, di basso livello socio culturale».