Tu chiamala, se vuoi, dermocosmetica. Il termine indica come è noto quella categoria di prodotti per la cura della pelle o dei capelli in grado non soltanto di garantirne la migliore resa estetica bensì di contribuire tout court al loro stato di salute puntando alla risoluzione di problematiche specifiche. Bersaglio di questi ingredienti e formule sono perciò nell’ambito della skincare, disturbi e patologie quali dermatite atopiche, psoriasi, acne ed eczemi, solo per citarne alcuni.

I ricercatori di Fortune Business Insights – società con sede in India che vanta fra i suoi clienti alcuni fra i top player globali della chimica, dell’alimentare e dell’auto – hanno provato a calcolarne il valore di mercato. Trainato dalla maggiore attenzione nei confronti delle malattie della pelle e dai timori che esse di conseguenza generano, il business della dermocosmesi era atteso a registrare un volume d’affari da quasi 40 miliardi di dollari alla fine dello scorso anno, con prospettive di arrivare a 77,5 nel 2030.

Un canale privilegiato

Altrove il fenomeno è stato etichettato come medicalizzazione della cosmetica e, se è di salute (e relativi prodotti) che si parla, allora è facile supporre che a veicolarli siano principalmente dei canali di vendita specializzati. Ovvero, per quel che riguarda la nostra Penisola, quelli delle farmacie. Non è forse casuale, allora, che stando agli ultimi dati presentati dalla sigla confindustriale Cosmetica Italia sull’andamento del 2023, le consegne di cosmetici ai banchi delle croci verdi siano aumentate significativamente.

Secondo il Centro Studi dell’Associazione, infatti, sono cresciute del 7,4% lo scorso anno; la previsione per il 2024 non è granché dissimile e l’incremento pronosticato è pari al 7,2%. Il fatturato generato dai cosmetici in farmacia è equivalso a 2,1 miliardi di euro contro i due miliardi netti del 2022, mentre l’industria di riferimento nel suo complesso ne ha realizzati circa 15 miliardi.

A spiegare le ragioni del boom della medicalizzazione è stato il presidente dell’Associazione italiana di Dermatologia e Cosmetologia (AIDECO), Leonardo Celleno. «Uscendo dall’ambito della pura bellezza – ha esordito – e guardando, invece, alla risoluzione di problematiche cutanee specifiche, il cosmetico medicalizzato presenta la capacità di riequilibrare funzioni alterate, come avviene a causa della dermatite atopica. Qui sono le stesse linee guida accettate a livello internazionale a suggerire l’uso di emollienti riparatori della barriera cutanea. Inoltre, determinate formule e ingredienti possono essere utilizzati a scopi preventivi e in generale parliamo di cosmetici usati per scopi medicali, diffusi perché capaci di rispondere a deficit precisi».

Dove non c’è il medicinale

Nelle prescrizioni dermocosmetiche rientrano fra gli altri le creme all’urea, «fortemente idratanti» e sviluppate anche per fare fronte a situazioni di ipercheratosi quali quelle tipiche dei già citati eczemi e psoriasi. «Laddove non si fa ricorso a un medicinale – ha spiegato Celleno – che tiene conto solamente di alcuni aspetti della malattia senza interagire direttamente con la funzione della cute, allora entra in gioco una soluzione cosmetica mirata. Accade perché la cosmesi si è rivelata ricettiva nel far suoi i progressi della scienza cosmetologica, della fisiologia e biochimici. Interviene pertanto a supporto di processi cutanei alterati, deficitari o che debbano comunque essere protetti».

L’esempio citato è quello degli shampoo con effetti antiforfora. È vero, combattono gli inestetismi che il disturbo causa, ma con azioni per molti versi simili a quelle della medicina e contrastando cioè i miceti malassezia furfur che ne sono all’origine. Ci si muove in un territorio di confine, dove malfunzionamento fisiologico e autentica patologia finiscono con l’essere difficili da distinguere. E si va, secondo Celleno, oltre il concetto di cosmeceutico, grazie a formulazioni in tutto e per tutto attente ai bisogni della pelle e prescrivibili da professionisti, siano essi medici di base o specialisti: «come validi coadiuvanti del benessere cutaneo».

È più che probabile che i dermocosmetici rappresentino il 10-12% del totale dei cosmetici veicolati dal canale-farmacia, o perlomeno questa è l’opinione espressa dal presidente AIDECO, Leonardo Celleno. La ragione risiede nel fatto che il consumatore e paziente ormai evoluto cerca prodotti di comprovata serietà e dal farmacista ottiene una consulenza esperta e circostanziata, offerta magari insieme ad altre proposte complementari quali oli e latte detergente.

Non si accettano miracoli

«Credo che la clientela abbia ormai archiviato l’era della caccia ai rimedi miracolosi su Internet – ha riflettuto Celleno – e persegua la concretezza di interlocutori qualificati che assicurino dell’efficacia di quel che offrono. Tutti gli attori della catena – i medici prescrittori, i farmacisti e le imprese produttrici – devono farsi, dunque, garanti dei benefici promessi anche perché le prove di valutazione e la veridicità dei claim riprodotti sulle confezioni sono oggetto più che mai di attenta sensibilità».

L’utilizzatore e, quindi, non solo l’esperto distinguono fra il dermocosmetico medicalizzato e il multifunzione, che «incontra e soddisfa bisogni quotidiani elementari e tipici di chi non necessita di una terapia». Il multifunzione può essere “indicato per”, ma non certo risolutivo dinanzi a un disturbo o patologia.