È una realtà dalle proporzioni importanti. La povertà sanitaria colpisce, in Italia, centinaia di migliaia di persone, compromettendo (anche) il diritto alla salute in un’ampia fetta di popolazione. Fragili, anziani, senza tetto, disoccupati, lavoratori senza una posizione stabile, emarginati, immigrati, costretti a rinunciare all’accesso alle cure e all’assistenza medica, valori irrinunciabili e imprescindibili di ogni cittadino. Ciò ha un importante impatto sull’economia e tessuto del Paese, non solo sul benessere del singolo: la salute è infatti motore della crescita, civile, sociale, istituzionale, politica, non solo sanitaria, di un territorio. Se ne è parlato in occasione dell’evento “Le Povertà Sanitarie”, a cura delle Federazioni dei professionisti della Salute, promosso da CEI (Conferenza Episcopale Italiana) Pastorale della Salute, prima iniziativa di un percorso che guiderà verso il Giubileo del 2025.

Il “cammino” CEI

Mons. Massimo Angelelli

Dare attenzione alle povertà, sanitaria in particolare, e proporre iniziative concrete per arginare il fenomeno. Con questo obiettivo la CEI e le 11 Federazioni Nazionali di professionisti sanitari hanno sviluppato un cammino di accompagnamento al Giubileo 2025, volto a promuovere e sensibilizzare al valore “universalistico” del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e dell’equità alle cure. Un patrimonio da difendere e da rendere accessibile a tutti, contrariamente a quanto attestano i numeri. Secondo le ultime stime, al 2023, 4 milioni e mezzo di italiani hanno rinunciato a curarsi per “indisponibilità” a poter usufruire di prestazioni rimborsate, a fronte di oltre 40 miliardi di spesa out of pocket: un trend che richiede interventi prioritari e tempestivi. Opinione condivisa da tutte le Federazioni partecipanti al progetto in rappresentanza di 1,5 milioni di curanti che, in occasione del primo incontro di Verona sulle povertà sanitarie in Italia (il secondo il 22 novembre sulle povertà in Europa e l’ultimo in primavera a Roma al culmine del Giubileo), hanno firmato un Manifesto, una carta di intenti condivisa, contro le povertà sanitarie in cui si promuovono i valori e la difesa del SSN. Quindi, il diritto all’universalità delle cure. «Stiamo osservando un divario crescente all’accesso alle cure», spiega Mons. Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della salute della CEI, «che non riguarda soltanto i ceti più o meno abbienti e le tipiche divergenze tra il nord, meglio organizzato in termini di offerta di servizi, e un sud in difficoltà, ma anche divergenze fra aree interne del territorio e aree metropolitane che impattano sensibilmente sull’aspettativa di vita media. Discrepanze che, anche nel contesto attuale, non si legano soltanto ad aspetti di ordine finanziario, ma soprattutto di programmazione gestionale, di capacità di allocazione adeguata dei fondi atta a colmare gli squilibri presenti nel Paese».

Il diritto alla salute

Un sistema sanitario efficiente e, allo stesso tempo, di qualità, equo, accessibile, prossimo al cittadino e in grado di rispondere ai bisogni “cronici”, noti e consolidati sul territorio, e alle nuove emergenze e bisogni a livello nazionale, è alla base della costruzione di una società coesa e solidale, in cui ogni persona possa vivere una vita dignitosa e sostenuta dalla salute. Con questa consapevolezza, sono state avviate e sono in corso una serie di riforme tese al miglioramento del Servizio Sanitario Nazionale (SSN), al rafforzamento delle sanità territoriale e dei servizi di prossimità, con particolare attenzione alla tutela delle fasce di popolazione più vulnerabili. Obiettivi che possono essere favoriti anche dal maggior consolidamento e integrazione tra salute e welfare, riconoscendo l’interconnessione tra bisogni sociali e sanitari: senza la “cura” del singolo viene meno anche la connettività del tessuto sociale.

Obiettivo non ancora raggiunto

Contrastare la povertà sanitaria e garantire accesso alle cure a ogni persona a livello planetario è uno dei principi cardine dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) e degli SDGs, obiettivi 2030 dello sviluppo sostenibile, che propongono al n. 1 e 3 rispettivamente la povertà e la salute: un “concetto” ampio, che si estende ben oltre l’ambito puramente assistenziale. Combattere la povertà sanitaria implica e significa consentire alle popolazioni di vivere e sentirsi sicure nei luoghi in cui risiedono, siano essi privati o di lavoro, potendo condurre un’esistenza dignitosa. Il progresso sociale, infatti, non si basa esclusivamente sulla ricchezza, ma sull’opportunità del singolo di (poter) contribuire al benessere della società, intesa come collettività, e vivere in salute e in un ambiente salubre. Un obiettivo allo stato attuale ancora disatteso, almeno nei confronti di una buona parte della popolazione: solo in Europa 1 persona su 5 vive in stato di forte indigenza, dove anche le opportunità di innovazione, quali ad esempio la digitalizzazione e l’informatizzazione, non sempre rappresentano il mezzo per contrastare la povertà sanitaria; al contrario, in specifici contesti e/o in determinate fasce di popolazione costituiscono un ostacolo all’eccesso alle cure. Limite che può essere ulteriormente accresciuto dalla perdita di fiducia dei cittadini nelle istituzioni e nella messa in atto di adeguate strategie a loro tutela.

A rischio anche la salute mentale

Uno studio dell’OMS del 2019 attesta che almeno cinque fattori impattano sulla povertà e sulla riduzione della qualità della vita: insicurezza finanziaria (35%); instabilità/incertezza professionale; mancanza di uno stipendio fisso da parte del capofamiglia, impedendo il sostentamento del nucleo famigliare con pasti adeguati e regolari o di potere provvedere alle spese mediche necessarie; “povertà” dei rapporti sociali. Fattori che impattano, oltre che sulla salute in generale, anche sul rischio di sviluppare disagio mentale: problematiche che potrebbero essere alleviate da misure correttive. Interventi di supporto famigliare e parentale, agevolazioni fiscali, servizi comunitari targettizzati su differenti destinatari (adulti, anziani, giovani/adolescenti, donne) fra i principali e che, secondo gli esperti, potrebbero consentire da qui e nel futuro di ridurre del 44% anche il disagio psichico (dai disturbi mentali alla depressione) in adulti in età lavorativa, a vantaggio dell’economia del singolo e della collettività. Tenuto conto che, si stima, ogni euro investito in azioni di prevenzione corrisponda a un guadagno del 6-10% in riduzioni di interventi sanitario-assistenziali. Azioni che devono estendersi anche alla istituzionalizzazione di nuove partnership, all’implementazione di strategie collaborative fra aziende, datori di lavoro e dipendenti, finalizzati alla costruzione di un ambiente che promuova salute e salute mentale, alla creazione di luoghi accoglienti per gli anziani e alla strutturazione di modelli di cura integrati che favoriscano il mantenimento di una vita socialmente attiva.

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