Quasi un cittadino su tre nutre ancora dubbi circa l’efficacia dei farmaci equivalenti, tanto da esser disposto a pagare di tasca propria per il farmaco “branded”. Il 47% dei cittadini sarebbe, tuttavia, predisposto ad acquistare l’equivalente, mentre resiste un 19% che prediligerebbe comunque il prodotto di marca.

Italiani e farmaci equivalenti: permane diffidenza

Questi sono i dati principali che emergono dall’indagine realizzata da SWG tra aprile e maggio su un campione di 2.500 cittadini over18 rappresentativi della popolazione italiana, presentata presso il Ministero della Salute, lo scorso 22 maggio, nel corso dell’evento “Farmaci equivalenti: conoscere per scegliere” promosso da Cittadinanzattiva, nell’ambito della campagna #Ioequivalgo, con il contributo non condizionato di Egualia.

Farmaci equivalenti e informazione

In merito all’informazione, l’indagine SWG rivela che il 72% del campione risulta adeguatamente informato rispetto ai farmaci equivalenti; ne ha sentito parlare dal farmacista in oltre la metà dei casi – 58% – o dal proprio medico – 41%.

Nonostante più di 8 cittadini su 10 (83%) siano a conoscenza del fatto che l’equivalente contiene il medesimo principio attivo del farmaco di marca e che il 69% sappiano che contiene lo stesso quantitativo di farmaco del prodotto brandizzato, 1 cittadino su 3 resta scettico circa l’efficacia del prodotto equivalente.

Per quanto riguarda la prescrizione, 2 cittadini su 10 dichiarano che il medico indica solo il farmaco branded, che il 36% fa riferimento al principio attivo e al farmaco brandizzato mentre solo il 31% indica solo il principio attivo, demandando al cittadino la scelta del prodotto.

I costi a carico del cittadino per il farmaco branded

Come emerge dall’ultimo rapporto realizzato dal Centro Studi di Egualia, nel corso del 2023 i cittadini hanno versato di tasca propria oltre 1 miliardo di euro (1.029 milioni) di differenziale di prezzo per ritirare il brand off patent – più costoso – invece che il generico-equivalente – a minor costo – interamente rimborsato dal SSN. 

Anche rispetto a questo tema, l’indagine evidenzia una spaccatura del Paese, con una maggiore propensione delle regioni del Nord verso i medicinali equivalenti a fronte di una maggiore diffidenza da parte dei cittadini meridionali. Nel Nord Italia, il farmaco equivalente rappresenta infatti il 39,8% delle confezioni vendute rispetto al 29% del Centro e addirittura al 23,7% del Meridione. La media nazionale si assesta al 32%.

L’incidenza maggiore nel consumo di equivalenti viene registrata nella Provincia Autonoma di Trento (44,7%), in Friuli Venezia Giulia (41,9%) e in Piemonte (40%); le regioni fanalino di coda sono invece la Sicilia (22,7%), la Campania (21,9%) e la Calabria (21,7%).

Necessaria una campagna di informazione e comunicazione

Alla luce di quanto emerso, «Crediamo che a questo punto sia necessaria una grande campagna di informazione e comunicazione istituzionale rivolta alla cittadinanza e agli operatori sanitari (medici, farmacisti, infermieri), per superare le resistenze di tipo culturale ma anche gli ostacoli pratici nella domanda e nell’offerta di questi farmaci», ha dichiarato Valeria Fava, responsabile coordinamento politiche della salute di Cittadinanzattiva.

Maggiore impegno da parte dei farmacisti

«Impegnarsi ancor di più nell’informare il cittadino sui farmaci equivalenti» è l’invito che Gianni Petrosillo, Presidente Sunifar, ha rivolto ai farmacisti, già consapevoli dell’obbligo di legge di proporre, ove possibile, il medicinale equivalente al momento della dispensazione di un farmaco di marca.