Il peso delle malattie cardiovascolari nel nostro Paese è molto significativo: basti pensare che le stesse sono responsabili di oltre 224 mila decessi annui, pari a 600 al giorno, di cui 47mila evitabili solo effettuando un controllo della colesterolemia. Difatti l’ipercolesterolemia genetica – che interessa circa l’1% della popolazione – se non trattata porta a morbilità e mortalità precoce.

Il tema è stato al centro di un incontro organizzato da Motore Sanità lo scorso 11 luglio in partnership con la Società italiana studi sull’arteriosclerosi (Sisa) che ha evidenziato la necessità di affrontare le malattie cardiovascolari con una visione di sistema, perseguendo così un duplice obiettivo: ridurre morbilità e mortalità, ma anche i costi a carico del SSN. Basti pensare che soltanto il colesterolo comporta una spesa sanitaria diretta e indiretta di 16 miliardi di euro l’anno. 

Partire dai dati e puntare sulla prevenzione primaria

Per poter mettere in atto strategie preventive efficaci, occorre partire da dati certi. In questo senso risulta fondamentale la raccolta, da parte delle società scientifiche, di dati nella popolazione, come quelli sulle forme familiari ottenuti dalla Società italiana studi sull’aterosclerosi nell’ambito del progetto nazionale Lipigen.

«L’ipercolesterolemia rimane un fattore di rischio causale determinante, ma gli interventi per ridurlo non sono ancora ottimali» ha sottolineato Alberico Catapano, Presidente della SISA e Past President di EAS. Difatti ad oggi si punta molto sulla prevenzione secondaria supportata dai farmaci, dimenticando sovente l’importanza della prevenzione primaria, da mettere in campo prima che la malattia possa svilupparsi, modificando abitudini e stili di vita.

Ma «per fare questo – ha proseguito il presidente della SISA – occorre una grande sinergia tra le istituzioni e le società scientifiche per informare tutti gli stakeholders, a partire dal cittadino, per passare al paziente e ai provider di healthcare, senza escludere i dietologi, i dietisti, gli infermieri, per finire con la figura apicale del medico». E’ dunque auspicabile «un patto forte che, con le nuove tecnologie disponibili, permetta di avere un quadro chiaro di come spostare il rischio dell’intera popolazione».

Con effetti concreti e misurabili. Una riduzione di 15-20 milligrammi per decilitro di colesterolemia LDL porterebbe difatti ad una riduzione del 25% circa di eventi cardiovascolari fatali e non nel lungo periodo. 

Partire dai territori per costruire una roadmap

Per raggiungere obiettivi concreti ed efficaci è importante partire dai territori per arrivare ad un quadro di proposte di carattere nazionale.

«L’Osservatorio Innovazione di Motore Sanità, in partnership con la Società italiana studi sull’aterosclerosi, e con il coinvolgimento delle principali società scientifiche e degli attori della filiera, crede sia arrivato il momento di colmare il gap esistente tra velocità della ricerca, evidenze scientifiche da essa prodotte e applicazione di queste nei processi assistenziali – ha sostenuto Giulia Gioda, Presidente di Motore Sanità, che ha quindi aggiunto – Pensiamo inoltre sia arrivato il momento di sfruttare al meglio le nuove risorse introdotte a sistema in una fase in cui sono in atto grandi trasformazioni organizzative». 

Verso terapie personalizzate anche nell’ipercolesterolemia 

Occorre ricordare che in italia le patologie cardiovascolari rappresentano la prima causa di disabilità e mortalità, responsabili del 34% dei decessi totali. Cruciale è quindi ormai intervenire prima che gli eventi cardiovascolari possano presentarsi, in modo preventivo e sempre più anticipato.

Per fare questo «dobbiamo trattare la malattia nelle fasi più precoci, possibilmente quando non si è ancora manifestata» ha sostenuto Pasquale Perrone Filardi, presidente della Società Italiana di Cardiologia – SIC. Difatti il colesterolo rappresenta il principale fattore di rischio per le patologie cardiovascolari e le linee guioda europee raccomandano che lo stesso venga abbassato proporzionalmente al rischio cardiovascolare.

La Società Italiana di Cardiologia, insieme con la SIBioC, ha redatto un documento che – ha spiegato il presidente SIC, «sarà pubblicato a breve e servirà per raccomandare che nelle refertazioni con valori analitici del colesterolo non venga indicato un valore di normalità per tutti, ma venga fatto riferimento al proprio profilo di rischio cardiovascolare e al corrispondente valore raccomandato dalle linee guida. Questo consentirà anche ai pazienti di avere più consapevolezza di quanto il loro valore di colesterolo sia distante da quello che dovrebbe essere il livello ottimale rispetto al loro profilo di rischio. In questa maniera contribuiremo alla cultura del colesterolo e alla personalizzazione delle terapie in relazione ai bisogni di ciascuno».

Anche perché oggi, «in Italia, abbiamo un sistema che ci consente come in nessun altro Paese del mondo l’accesso attraverso la sanità pubblica a terapie innovative per il colesterolo. E un colesterolo che non possa essere trattato – ha concluso Perrone Filardi – non esiste».

Farmaci e nuove strategie terapeutiche

Per quanto concerne la prevenzione secondaria, sono stati condotti due registri focalizzati sulla gestione dell’infarto del miocardio acuto a livello ospedaliero e sulla gestione di pazienti con aterosclerosi ad alto rischio in regime ospedaliero e ambulatoriale, con il coinvolgimento di circa 12mila pazienti.

«Nell’ambito dell’ipercolesterolemia – ha spiegato Leonardo De Luca, Direttore della struttura complessa di Cardiologia del Policlinico IRCCS San Matteo di Pavia e Vicepresidente dell’ANMCO – abbiamo registrato i valori di colesterolo ed il relativo trattamento farmacologico. Abbiamo registrato un miglioramento delle strategie ipocolesterolemizzanti rispetto ai registri precedenti: il 90% circa dei pazienti è stato dimesso con terapia statinica, perlopiù con statine ad alta intensità, ed al 60-65% dei pazienti veniva prescritta una associazione, altamente raccomandata dalle attuali linee guida europee, con ezetimibe. I farmaci di seconda linea, i cosiddetti farmaci biologici inibitori del PCSK9, sia anticorpi monoclonali che SiRNA, erano impiegati in circa il 5,5% dei pazienti al momento della dimissione ospedaliera».

Anche l’altro registro – Bring Up Prevenzione, ha evidenziato risultati analoghi. Questo dimostra che l’impiego precoce della triplice terapia possa essere implementato nei prossimi anni, in particolare in pazienti con livelli elevati di colesterolo LDL.