Racconti di vita quotidiana in farmacia ai tempi del Coronavirus: in prima linea tra paura del contagio, apprensione per i propri cari e senso del dovere
Scene di vita quotidiana in farmacia ai tempi del Coronavirus, le conosciamo bene. Fin dal primo mattino, la richiesta è sempre la stessa “mascherine e guanti”. Il telefono che suona: “Posso prenotare il Plaquenil? Mi hanno detto di prenderlo a scopo preventivo”. Ancora uno squillo: “avete gel mani sanificante?”. Il cliente che si presenta senza ricetta perché “il medico ha chiuso ma la lozione per i capelli proprio mi serve”, oppure quello che “la ricetta ce l’ho sul telefonino tanto ormai la carta non si usa più”… E intanto la fila si allunga oltre la porta d’ingresso, mentre pulisci il banco, disinfetti il lettore Pos, metti i guanti e via così esausto fino a sera.
Ci accompagna ogni giorno la paura del contagio, l’apprensione per i nostri cari, il senso di impotenza davanti all’ennesima richiesta di una bombola d’ossigeno che non riusciamo a consegnare. Lacrime? qualche volta, quando presi dallo sconforto cediamo allo stress e condividiamo il dolore dei nostri clienti come fossimo una grande famiglia. Sono stati giorni difficili, anche per le farmacie italiane. Non siamo eroi, lo sappiamo; il nostro operato non è neanche lontanamente paragonabile a quello di medici e infermieri che rischiano la vita ogni giorno a stretto contatto con gli ammalati. Però abbiamo fatto la nostra parte: le farmacie sono state avamposti silenziosi ma capillari sul territorio, sempre al fianco dei cittadini nella battaglia a un nemico invisibile e proprio per questo ancor più temibile.
In prima linea fin dall’inizio di questa crisi, aperte anche nel cuore delle zone più colpite dal virus. Abbiamo fatto onore alla nostra professione fornendo corrette informazioni, gestendo le paure e il panico dei nostri clienti, assicurando loro un’assistenza farmaceutica costante. Ogni sera abbiamo spento le luci e siamo tornati a casa soddisfatti del nostro operato, con la consapevolezza di avere reso un servizio ai nostri clienti anche solo per averli ascoltati. La gratificazione di quanto fatto cancella tutte le difficoltà che abbiamo vissuto e ci rende consapevoli di quanto sia importante il nostro ruolo per il buon funzionamento del sistema sanitario italiano. Dobbiamo essere orgogliosi del nostro operato, anche se veniamo poco citati dai media e siamo considerati commercianti privilegiati, talvolta speculatori. Credo invece che il periodo di crisi abbia indiscutibilmente dimostrato quanto la farmacia italiana sia seria e affidabile, costituita da professionisti sanitari straordinari, e non mi riferisco solo ai titolari ma anche alle migliaia di collaboratori che li hanno affiancati in questi giorni difficili con grande dedizione. A tutti loro va il nostro ringraziamento.
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Grazie di cuore, sempre presenti e disponibili, in trincea tutte le volte,
troppo dimenticati e sconosciuti.
Grazie dottori
Bellissimo articolo, bellissima e vera esperienza! Da farmacista non posso che confermare. Lavoro a Roma e, tempo fa, ho pubblicato questo mio pensiero sulla mia bacheca, che mi piacerebbe condividere con voi..
“Oggi mi sono alzata presto, prima del solito…la notte è passata senza che riuscissi a chiudere occhio…no, non la solita insonnia causata dalla fibromialgia: semplicemente non riuscivo a spegnere i pensieri! La mente vagava, ma poi si fermava sempre lì: il momento della mia laurea, in chimica e tecnologia farmaceutiche!
Quando combini le passioni per la fisiologia e la medicina ad intuito, razionalità e mente indagatrice, nasce un chimico farmaceutico, colui che sa applicare i principi della scienza per migliorare le funzionalità di un organismo. Ma se a tutto ciò aggiungi una forte empatia per la gente e la voglia di spendersi a contatto col pubblico, allora nasce un farmacista!
Io sono una farmacista e amo il mio lavoro!
Lo svolgo con passione, con dedizione, con la consapevolezza di fare del bene a qualcuno. Per tutti coloro che pensano che la mia professione sia alla stregua di un commesso ( e massimo rispetto per i commessi, di cui ho profonda stima), ebbene non hanno capito niente! Essere farmacista richiede delle conoscenze importanti, che non finisci mai di acquisire con continui aggiornamenti, richiede responsabilità enormi, civili e penali, richiede uno sforzo fisico quotidiano, richiede una forte capacità di dialogo, di versatilità, di immedesimazione e comprensione dei bisogni dell’altro. Per il tuo cliente sei un punto di riferimento, un “medico”, un “infermiere”, un “confessore”, un “salvatore” e, solo alla fine, un commesso. E io amo essere tutto questo! Amo fare il mio lavoro! Soprattutto adesso. In questi giorni così strani, quando tutto sembra diverso, quando tutto È diverso. Quando tutto fa paura. Noi farmacisti ci siamo. In prima linea, pronti a fare il nostro dovere. E non è facile. Lavori tutto il giorno in condizioni “drastiche”. La giornata comincia con te che ti avvii per aprire, e già senti che dentro il telefono sta squillando, ti affretti a rispondere sapendo che è qualcuno che ti chiede se sono arrivate le mascherine o l’alcool…e sai che quella è la prima di circa 400 telefonate tutte uguali, alle quali continuerai a rispondere sempre con cortesia ed educazione, tutto il giorno ed incessantemente. Lavori con una mascherina che ti copre quasi tutto il viso, che ti soffoca e ti appanna gli occhiali non facendoti vedere niente, e gli occhi alla fine sono così stanchi di vedere attraverso una nebulosa che cominciano a lacrimare senza sosta…e devi essere sempre concentrata, per ricordarti ogni secondo di non toccarti il viso, anche se ti prude, anche se ti pizzica, anche se hai un estremo bisogno di massaggiarti le tempie perché ti scoppia la testa; e devi ricordarti di non toccarti i capelli, che possono essere contaminati e che ormai porti sempre legati in una coda stretta. E ignori la sete, perché non hai una mascherina di ricambio, e non puoi permetterti di toglierla per bere. E devi riuscire a far intravedere il tuo sorriso dagli occhi, perché è l’unica parte della faccia che i tuoi clienti riescono a vedere, anche se dietro una lente appannata e pieni di lacrime. E lavori così, sempre attenta a non sbagliare, concentrata sul tuo delicato lavoro, sulla persona che hai davanti e col segreto terrore di rischiare un possibile contagio. E non importa se le mani sono rosse, screpolate e ormai tagliate, guanti non ce ne stanno, e poi dovresti cambiarli troppe volte, per cui ogni due, massimo tre persone ( di cui tocchi effetti personali, carte, soldi e, se devi fare una medicazione o misurare la pressione o simili, la persona stessa , in quel caso senza poter rispettare le distanze minime di sicurezza) vai a lavarle bene. Continuando sempre a rispondere al telefono. Disciplinando la gente in fila. Disinfettando gli ambienti. Regalando sorrisi e rassicurazioni. Preparando ordini per le case di riposo, per gli anziani che non possono uscire, collaborando con Asl e associazioni di volontariato. Sempre rispondendo al telefono. Sempre respirando senza aria. Tutto il giorno, fino a sera, quando finalmente abbassi la saracinesca e decidi che due minuti di silenzio vogliono dire che non devi più rispondere a nessuna telefonata, che puoi andare a casa. A riposare. Per ricominciare il giorno dopo. Ed è solo quando chiudi che ti rendi davvero conto della stanchezza, e ti concedi di pensare ai problemi fisici personali che ti porti comunque dietro e che ti hanno attanagliato tutto il giorno nonostante tu non li abbia considerati. E togli il camice, ma in realtà togli la corazza che ti sei messa addosso per affrontare la giornata; e togli finalmente l’odiosa mascherina, e con quella togli anche un’altra maschera, quella che indossi al banco per nascondere la preoccupazione per questi eventi che troppe persone ancora sottovalutano, e rassicurare i pazienti. E torni a casa, con le mani ormai rovinate, gli occhi arrossati e cerchiati di nero, il viso irritato che porta ancora i segni del dispositivo…e sei stanca, maledettamente stanca , e vuoi un abbraccio, quell’abbraccio che tuo marito ti vuole concedere ma che sei restia ad accettare per la preoccupazione di essere positiva al virus e contagiarlo. E sai che domani ricomincerà tutto da capo, ti misurerai la temperatura prima di uscire da casa per accertarti di non avere febbre, e riaprirai la farmacia, risponderai al telefono, rincuorerai i clienti. Con la mascherina. O senza, se per quel giorno non ci sta, perché il servizio è troppo importante e non si può interrompere. E ti senti vicina a tutti gli operatori sanitari che non smettono mai di amare il prossimo, medici, infermieri, paramedici, ricercatori, tecnici di laboratorio. E a tutte quelle persone che continuano a lavorare incessantemente dietro le quinte, gli addetti alla pulizia, gli agenti per strada, i camionisti, i cassieri e tutti gli altri. E ti senti grata per loro, e solidale con loro. E pensi che almeno tutto questo sarà servito ad acquisire nuove consapevolezze, un nuovo rispetto per tutti i lavoratori, per la vita, per ciò che normalmente si da per scontato, per dei ritmi più blandi, per un “silenzio” che la frenesia aveva cancellato. E pensi che ognuno di noi deve fare la sua parte, eroicamente, lavorando in prima linea o restando a casa. Restate a casa! Per favore! Restate a casa davvero! Non è una restrizione della libertà personale, è un’esigenza che nasce per uscirne meno male possibile, per proteggerci tutti a vicenda! Restate a casa! Non è “restare a casa” venire in farmacia a comprare le zigulí; non è “restare a casa” fare la spesa ogni giorno per avere il pane fresco! Portare ogni mezz’ora il cane fuori! Così ci facciamo tutti del male! E vanifichiamo tutto! Tutto! Soprattutto il sacrificio di chi rischia la propria vita tutti i giorni in ospedale. Facciamo tutti un gesto eroico! Per superare questo periodo, e tornare ad incontrarci, ad abbracciarci, a parlare senza un filtro davanti.”
Gentile Virginia, grazie mille per questo prezioso contributo: ci piacerebbe pubblicarne un estratto sul sito, lei sarebbe d’accordo?
Gentile D.ssa Virginia, quanta verita’ in tutto quello che dice, sento pochissime istituzioni ringraziare la categoria dei farmacisti, lo fanno solo le Associazioni della nostra categoria. Questo lavoro e’ una missione, veramente..